Rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Nel linguaggio comune si sente spesso dire che “dopo la Cassazione resta solo l’Europa”. In realtà, rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non è un atto simbolico o di protesta, ma un rimedio giuridico previsto da una Convenzione internazionale che vincola lo Stato italiano dal 1955. La CEDU non giudica i processi nel merito, né sostituisce i tribunali nazionali. Il suo compito è diverso e più alto: verificare se, nel corso di un procedimento interno, uno Stato abbia violato i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione, come la libertà personale, il diritto a un equo processo o la tutela della proprietà privata.

Per questo motivo, non è sufficiente non condividere una sentenza della Cassazione per accedere a Strasburgo; occorre dimostrare che la decisione nazionale rappresenta la conclusione di una violazione strutturale o manifesta dei diritti convenzionali.

Ogni ricorso alla Corte di Strasburgo inizia da un presupposto: l’esaurimento dei rimedi interni. Il cittadino deve prima aver tentato ogni via di tutela disponibile nel proprio ordinamento, e solo dopo può adire la Corte EDU, rispettando il termine di quattro mesi dalla decisione definitiva.

Questo principio di sussidiarietà costituisce il fondamento dell’intero sistema, poiché la Corte non interviene come giudice d’appello, ma come garante ultimo dei diritti umani in Europa. Il suo ruolo si attiva solo quando lo Stato non è riuscito o non ha voluto rimediare alla violazione all’interno dei propri confini giuridici.

La procedura di ricorso CEDU è rigorosa e formale. Tutto parte dal formulario ufficiale predisposto dalla Cancelleria della Corte, che deve essere compilato in ogni sua sezione con chiarezza, coerenza e documentazione probatoria. Ogni omissione o disordine nella presentazione degli allegati può determinare la dichiarazione di irricevibilità.

È per questo che, nella maggior parte dei casi, l’assistenza di un avvocato con esperienza in diritto internazionale è indispensabile fin dall’inizio. Anche se la Corte consente al ricorrente di inviare personalmente il primo fascicolo, la rappresentanza legale diventa obbligatoria dopo la comunicazione del caso allo Stato convenuto. L’avvocato dovrà quindi gestire le comunicazioni, redigere le memorie in lingua francese o inglese e seguire l’evoluzione del procedimento fino alla decisione finale.

Molti cittadini si chiedono quanto dura un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La risposta è variabile, perché dipende dal numero dei casi pendenti, dalla complessità delle questioni giuridiche e dalla possibilità che il caso venga rimesso alla Grande Camera. In media, la durata oscilla tra due e cinque anni, ma può superare i sette in situazioni eccezionali. Ciò che rende l’attesa significativa è il valore delle sentenze pronunciate: una decisione favorevole non solo riconosce un diritto negato, ma può anche indurre lo Stato a modificare la propria legislazione o la propria prassi giudiziaria.

Il ricorso contro una sentenza ingiusta non è dunque un atto di disperazione, ma un esercizio di legalità e di fiducia nei meccanismi di tutela europea. Comprendere le regole della Corte EDU di Strasburgo, conoscere i termini per il ricorso CEDU e i requisiti di ricevibilità significa saper difendere i propri diritti con consapevolezza e rigore. Approfondimenti completi e aggiornati su questi temi sono disponibili nell’articolo pubblicato sul sito dello Studio Legale Parente Bianculli, punto di riferimento per chi desidera capire come e quando presentare un ricorso CEDU contro la Cassazione o contro altri organi giurisdizionali nazionali.